L’ultimo grido di Mishima
L’ultimo grido di Mishima

L’ultimo grido di Mishima

È il 25 novembre 1970: una moltitudine di giornalisti e soldati sono accalcati dinnanzi al palazzo Ichigaya Kaikan, in cui risiede l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa giapponese a Tokyo. Dalla sua balconata, spunta Yukio Mishima, famoso scrittore e poeta del sol levante che in quell’occasione indossa l’uniforme del tate no kai. Sarà da quel palco che esclamerà il suo ultimo discorso, ruggendo il bisogno della difesa della cultura di un paese e di un popolo, il Giappone, che stava venendo sempre più soggiogato dai desideri di un occidente pericolosamente revisionista.



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Di questo particolare evento e della vita di Mishima abbiamo già dedicato un video che, seppur datato, vogliamo riproporvi per rendere ancora più chiara la sua figura. Yukio Mishima, padre di opere divenute capostipiti della letteratura e del teatro giapponese, come “Cinque Nō moderni” e “la difesa della cultura”, lo disse chiaramente: “Per difendere la libertà del soggetto creatore e la continuità della vita della cultura bisogna fare una scelta per sistemi di governo. E qui inizia il problema operativo: cosa difendere e come”.

Tale dichiarazione era la spiegazione di dover difendere la cultura ed i valori di un paese e di un popolo attuando un sacrificio. Il Giappone, dopo la sconfitta durante la seconda guerra mondiale, dovette sottostare ad una costituzione sotto pressione statunitense, quella del 1947, ed al trattato di San Francisco del 1951, dove il paese, seppur non ritenuto più un protettorato americano, si doveva fondare su un’ideologia che rimarcasse maggiormente la sottomissione del Giappone alle ingerenze straniere, a discapito dell’autorità imperiale, e alla soggezione dell’esercito stesso. Un’onta che lo stesso Mishima contestò. Per tutelare la pace, per mantenere viva l’anima di un paese, c’è inevitabilmente da porre sempre qualcuno in sua difesa, utilizzando anche la forza. Ed è quello che proprio Mishima ha voluto dimostrare in quel lontano 1970, quando lui e i suoi fidati compagni del “Tate no kai”, fecero irruzione nell’ufficio dell’esercito per lanciare un messaggio di difesa al loro paese.

Volle dunque lasciare un ultimo gesto di protesta, sia con la penna che con il sangue: la mattina stessa, prima di raggiungere il suo ultimo obbiettivo, lasciò al suo editore l’ultimo volume de “il mare della fertilità”, quasi come se quest’ultimo fosse il suo testamento artistico e spirituale. Dopodiché, dopo l’ardimentoso proclama che vi lasciamo poco più in basso, attuò seppuku con l’aiuto del suo fidato amico Masakatsu Morita, seppur quest’ultimo errò per ben tre volte il taglio della testa, prolungando le sofferenze dello scrittore che già si era aperto il ventre come da consueta usanza.

Per prepararsi a quel gesto non aveva lasciato nulla al caso: indossando la mattina l’uniforme, infilò nei calzoni per prima la gamba destra, cosa che per noi potrà sembrare banale, ma che per le antiche usanze giapponesi si faceva il giorno in cui si sarebbe fatto seppuku. Fece in modo che le sue lettere fossero facilmente reperibili per i suoi amici e per gli editori, contattò due giornalisti invitandoli a raggiungere l’Ichigaya Kaikan e salì su una Toyota Corona bianca, dirigendosi infine verso l’ultima meta. Quando infine si palesò ed iniziò a parlare, venendo a tratti contestato da molti presenti, lasciò infine il suo ultimo messaggio al Giappone:

Cari soldati!
E’ terribile per me dover parlare a uomini dell’Esercito in circostanze come queste.
Io credevo che l’Esercito fosse l’ultima speranza per il Giappone.
La Forza e l’anima del Giappone!
Ma i giapponesi oggi… pensano solo ai soldi.
Dove è il nostro spirito nazionale? Noi pensavamo che l’Esercito fosse l’anima dell’onore nazionale.
La Nazione, non si basa più su fondamenti e principi spirituali!
Cosa farete quando sarete solo un grande arsenale senza anima?
Ai politici non importa del Giappone! Loro sono gratificati dal potere!
L’Esercito deve essere l’anima del Giappone!
Ascoltate! Ascoltate!
Siete uomini?
Siete bushi?
Io mi appello a voi!
Ascoltatemi!
Volete unirvi a me? Nessuno?
Voi non farete niente!
Ho perso i miei sogni su di voi!
Ora saluterò l’Imperatore…


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