I valori dell’occidente – La Vita
I valori dell’occidente – La Vita

I valori dell’occidente – La Vita



Ho lasciato per ultima l’l’analisi di questo valore non certo perché lo consideri l’ultimo.
Last but not least direbbero gli americani.
Anzi, proprio perché lo considero il più  importante, e che raccoglie al suo interno quelli già citati, ho voluto metterlo al fondo della lista per poter fare, con esso, anche un breve riassunto.
Abbiamo visto come i valori del cosiddetto “mondo occidentale” non abbiano praticamente più… valore,  per come sono stati stravolti e modificati i loro significati.
Ma la vita, l’essenza stessa dell’essere uomo, quale valore ha ancora per noi?
Potrei far partire il discorso dalle numerose leggi sull’aborto che ogni Stato ha promulgato.
So per certo che iniziare un discorso sulla vita partendo da questo argomento potrebbe causarmi diversi guai, finanche la crocifissione; dico questo solo per rimarcare quale valore oggi abbia raggiunto la democrazia e la libertà, soprattutto quella di opinione, nel nostro emisfero.
Quindi evito, per amor di Patria, ma un accenno voglio comunque farlo, invitando il lettore a meditare sul fatto che il mondo tecnologico occidentale spara nel cosmo sonde di ogni genere alla ricerca di un qualsiasi segnale di vita, intelligente o meno, fino a cercare virus e batteri nei pianeti del nostro sistema solare, ma non riesce a riconoscere come vita un feto umano.
Stop, e passiamo ad altro.

L’uomo ha sempre cercato, fin dall’antichità, di  comprendere il significato e il  senso della  vita: filosofia, letteratura, poesia e arte hanno come tema ricorrente la vita, in ogni sua sfaccettatura. La filosofia greca sostiene che il senso della vita consiste nel curare l’anima. La dottrina moderna e contemporanea identificano l’esistenza come progettazione, realizzazione della propria individualità e aspirazione alla perfezione.


Socrate riconosce che l’essenza della natura umana sta nella sua psyché, ossia nella sua anima, nel suo cervello, e quindi in ciò che permette all’uomo di diventare “buono” o “cattivo”. Egli deve occuparsi soprattutto della sua anima in modo che essa diventi “migliore il più possibile”.
Per Platone, padre della filosofia occidentale e inventore dell’anima, è una sostanza spirituale, indipendente dal corpo e immortale (dualismo ontologico). Il senso della vita, del vero, del bello e del bene, ci costringe a riflettere sulle cose esistenti, sulla realtà, il mondo, l’anima, la virtù, la felicità.

Secondo la religione cristiana, la vita è un dono di Dio, ogni uomo è unico e irripetibile e la sua vita ha un valore immenso. Il rispetto della vita in tutti i suoi aspetti (la libertà religiosa, la cultura, il lavoro, il giusto benessere fisico e materiale) sono diritti indiscutibili e il loro rispetto e la loro promozione misurano il grado di civiltà che una società ha raggiunto.

I concetti citati dovrebbero essere la base del concetto di “vita” nel nostro emisfero occidentale in cui viviamo.
Ho scritto dovrebbe perché, come vado a dimostrarvi, non è proprio così.

La vita è così importante come valore che congloba al suo interno il significato di qualsiasi altro valore noi possiamo menzionare: la libertà, la democrazia, la famiglia e molti altri. Senza la vita, gli altri non solo perdono senso, ma non hanno giustificazione.


Eppure, qual’è il valore della vita ai nostri giorni nel nostro ristrettissimo occidente?


Dall’esplosione delle teorie scientifiche in questo campo, che hanno sbaragliato le spiritualità filosofiche sull’origine e il significato della vita, abbiamo un decadimento del suo valore.
Da Darwin, con la sua teoria evoluzionistica (variabilità dei caratteri, eredità dei caratteri innati, adattamento all’ambiente, lotta per la sopravvivenza, selezione naturale ed isolamento geografico), alle teorie naziste su eugenetica e transumanesimo (arrivate fino a noi grazie all’Operazione Paperclip, con cui più di 1.600 scienziati, ingegneri e tecnici nazisti furono portati dalla Germania agli Stati Uniti, affinché fossero assunti dal governo statunitense, principalmente tra il 1945 e il 1959), è un fiorire di teorie che pongono l’uomo al centro dell’universo come creatore e modificatore di se stesso, e quindi non più interessato al significato reale del senso della vita stesso.
Se si vuole, poi si può andare fino alla notte dei tempi per vedere l’uomo che cade in tentazione proprio per diventare come Dio.
“Non morirete affatto!” – dice il biblico serpente ad Adamo ed Eva riuscendo a strapparli al loro Creatore – “ Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”.
A proposito: è forse un caso che il nome “Adamo” (in ebraico adam) è anche un nome comune e vuol dire semplicemente “uomo”, “essere umano”, e il nome Eva deriva dal verbo “vivere” e sia utilizzato solo come nome proprio?

Non si può, comunque, parlare del valore della vita senza affrontare il discorso del valore della morte.
Perché il destino immodificabile di ogni uomo ha anch’esso un valore.
Anche per la morte tutte le arti e le scienze dell’uomo hanno scritto enciclopedie per darle un significato.
Perché è la morte il fine ultimo di ogni vita.
E non è forse, oggi, la paura della morte che ha eroso il significato stesso del senso della vita?
La morte è stata affrontata da ogni civiltà umana nelle più svariate maniere che hanno portato un arricchimento delle varie società presenti sul nostro pianeta.
Il mondo occidentale è cresciuto, da questo punto di vista, con l’avvento del cristianesimo, che ha saputo unire le civiltà (ad esempio i Celti, i Germanici e i Normanni) che ha incontrato lungo il suo cammino.
E il cristianesimo ha infuso tutto l’occidente del significato di vita e di morte. Da qui tutta una sfilza di personaggi che hanno scritto la storia dell’Europa e non solo: da San Francesco a Santa Brigida, da San Benedetto ai santi Cirillo e Metodio fino a Ildegarda di Bingen e oltre, è un rifiorire di personaggi che hanno imperniato le nostre terre delle loro vite, dei loro insegnamenti e, soprattutto della loro morte.
Nella mia stessa città, Torino, possiamo avere un esempio di cosa vuol dire “santi sociali” dell’Ottocento: Don Bosco, Michele Rua, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Cottolengo, Domenico Savio; ma anche Juliette Viturnia Francesca Colbert de Maulévrier e suo marito Carlo Tancredi, Marchesi di Barolo, Leonardo Murialdo, Don Luigi Orione, Don Allamano, Francesco Faà di Bruno e tanti, tantissimi altri, Santi e Beati, che hanno contribuito a bilanciare l’inclinazione individualistica della città barocca dei Savoia con quella vocazionale operativa e meditativa.
E questo vale non solo per qualsiasi città o piccolo paese della nostra Italia, ma di tutta Europa.
Persone che hanno saputo dare un valore preciso alle loro vite e un significato preciso alla loro morte.
E oggi, cosa è rimasto del loro insegnamento?
Come dice una famosa canzone, siamo giunti a una “generazione di sconvolti che non han più santi né eroi”.
E’ questo a cui ci ha portato il pensiero moderno, fatto di demitizzazione di ogni cosa e persona che non segua lo standard unico: la monetizzazione.
Ogni cosa nel nostro mondo è monetizzatile, anche la vita e la morte (i bambini si comprano, gli uteri si affittano).
Siamo giunti in una fase intermedia che vuole portare l’uomo ad uno stadio evolutivo più avanzato chiamato “Postumanesimo”: il “transumanesimo”.
Il Transumanesimo attacca la concezione della vita, basata su una cultura del dolore, proponendo una cultura della felicità basata a sua volta sulla riprogettazione della natura umana per renderla libera dai vincoli che la affliggono: la nascita e la morte, appunto.
Ed è la paura della morte, insita in ogni uomo e collegata alla fine della spiritualità dell’uomo stesso, a decretare la morte dell’Uomo come tale. 


Questa frenetica ricerca, attraverso la scienza e la tecnologia, di avere benefici fisici e fisiologici; questa smania riguardante il miglioramento della salute ma soprattutto l’allungamento della vita, che coinvolge il potenziamento delle capacità intellettive, mentali e sociali, che cos’e se non il tentativo di aver in mano le sorti della vita e della morte di ogni individuo e di sostituirsi a Dio?
L’uomo, ormai in grado, attraverso la modifica dei propri geni, di selezionare e migliorar la propria specie, diventa a tutti gli effetti “creatore” di se stesso.
E non è forse la paura della morte, argomento ormai cancellato da ogni palinsesto televisivo e religioso, ad aver portato l’uomo ad essere ciò che è diventato?
Lo abbiamo visto in questi ultimi mesi dove, per paura di morire molte persone hanno smesso di vivere, annullandosi socialmente nel nome della scienza.
Si è rinunciato alla propria libertà per paura della morte, confondendo e monetizzando i rispettivi valori.
E’ proprio la concezione scientifica del mondo, instillata a forza dai mezzi di comunicazione e dai sistemi educativi occidentali negli ultimi anni, a portare l’Uomo al superamento di se stesso; a quell’idea di “Super Uomo” di cui parlava Nietzsche: il superuomo che si sostituisce sia all’ultimo uomo, disperatamente incapace di sognare, e sia a Dio stesso, conferendo autonomamente senso ai fatti.
E’ questa spaccatura tra un occidente materialista, che ha rinunciato ad apprendere dalla propria storia e dalle proprie tradizioni, ed un oriente, ancora legato alle proprie diverse e molteplici spiritualità, che ci ha portato alle guerre recenti, e a quest’ultima combattuta ancora una volto sul nostro territorio.
Un vero e proprio scontro di civiltà tra chi vuole andare oltre la vita e chi, invece, vuole restare attaccato ad essa fino alla morte.
Schierarsi per l’una o l’altra parte è fondamentale per il prosieguo delle nostre vite.



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